In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

venerdì 11 maggio 2012

paura blu

gli scenari cambiano rapidamente. era solo l'ottobre scorso quando, per qualche petardo, si levarono, insistenti e persistenti, corali peana contro la violenza che aveva, si diceva, turbato una civile manifestazione. si compiansero, al solito, i servitori dello stato, fingendo di credere che i boia della diaz avessero cambiato mestiere o fossero andati tutti in pensione, si condannarono i facinorosi, si chiese al movimento di marginalizzare, espellere, isolare, riapparve in scena un termine d'annata:  provocatori.
già in quella circostanza, a dire il vero, qualcosa andò storto, il consueto appello a restare dalla parte della ragione fu raccolto solo dagli apprendisti stregoni di SEL e FES, da tempo addomesticati, mentre il movimento degli studenti, nel suo complesso, rifiutò di emettere condanne e accettò il rischio di stare (finalmente) dalla parte del torto.
ma anche tenendo presente questo, non possono non stupire le reazioni, davvero sotto tono, registrate in seguito al ferimento del dirigente genovese dell'italsider.
schiacciata dal peso delle elezioni, la notizia del ferimento non ha meritato le nove colonne che gli avrebbero, fino a poco tempo fa, accreditato i bookmakers.
ma anche nei giorni successivi, e nelle comparsate televisive dei leader di partito, la faccenda non è stata assolutamente enfatizzata. 
si dà, naturalmente, notizia delle indagini ed il fattaccio è stato stigmatizzato con parole di circostanza, ma i cicchito, gli straquadagno, i mauriziolupi & co. hanno lesinato sul profluvio di indignate e fiere esternazioni di cui, fino a non troppo tempo fa, ci avrebbero fatto fare indigestione.
il fatto è che, coi tempi che corrono, i membri una casta politica detestata dalla stragrande maggioranza della popolazione non ritengono prudente favorire l'associazione di idee tra la propria faccia e l'uso disinvolto di armi da fuoco. temono di dare un suggerimento.
di certe cose, meno se ne parla e meglio è, per questa ragione l'anniversario del rapimento di aldo moro è stato commemorato in sordina, eventualmente relegato nelle pagine interne, riservando la prima pagina a un morto più lontano nel tempo.
neppure l'anniversario della morte dello statista (9 maggio), che pure cadeva a fagiolo, è stato pronubo allo scatenarsi dell'ordinaria retorica tanto cara ai vecchi tromboni della nazione.
sarà, forse, perché l'orrore suscitato dall'uccisione di moro, che avvenne prima di mani pulite, quando ancora la classe politica godeva di un minimo di credibilità, non può più essere evocato, con intatto coinvolgimento emotivo, in un epoca in cui le notizie quotidiane sulla casta suscitano un sempre più forte sentimento di estraneità e repulsione.
un'altra ragione che si potrebbe addurre, per dare un senso alla evidente volontà, di politici e stampa, di parlare il meno possibile di questa brutta faccenda, sta nella questione della tenuta sociale, il cui scenario, rispetto agli anni '70, si è andato deteriorando.
nei cosiddetti anni di piombo c'era ancora un welfare forte, i diritti dei lavoratori non erano messi in discussione, non esisteva il precariato, le partecipazioni statali intervenivano nel salvataggio delle aziende.
con queste premesse la solidarietà nazionale aveva una sua ragion d'essere, perché difendeva uno stato sociale.
oggi, abbandonati al terrorismo del mercato, tutto ciò non esiste più e la disperazione comincia a lambire quelle che un tempo erano le classi medie.
in questa situazione l'apparato politico sa che un'eventuale ripresa dell'azione armata potrebbe essere fronteggiata solo sul piano militare, senza poter contare su un vasto consenso popolare.
che queste siano, o no, le vere ragioni, quello che è certo che l'apparato di controllo del capitale (politica e stampa) non riesce a nascondere la propria paura, e rinuncia ad analizzare i fatti per dedicarsi all'esorcismo.
PS (12 maggio) a conferma giunge la nomina di gianni de gennaro a sottosegretario alla presidenza del consiglio, con delega alla sicurezza.
i manuali di diritto costituzionale e il buon senso sconsigliano di assommare le funzioni politiche (di controllo) a un tecnico (che dovrebbe essere controllato). in questo caso, la nota stonata è anche più stridente, perché de gennaro fu a capo della polizia ai tempi della vergognosa carneficina della diaz.
rispetto alle sue responsabilità in ordine al massacro, la magistratura si è espressa in maniera contraddittoria, ora ritenendolo all'oscuro dei fatti (e dunque incapace di fare il suo mestiere), ora ritenendolo informato e attivo nel coordinare false testimonianze sull'accaduto (dimostrando così di saper fare il suo mestiere fin troppo bene, ma con tratti incompatibili con una democrazia).
nell'uno e nell'altro caso sarebbe stata sconsigliata, per imperizia o per criminalità, la sua attuale promozione.
invece c'è stata, e con il consenso di tutte le forze politiche, che evidentemente propendono per la seconda tesi, quella per cui sarebbe un ottimo poliziotto, ma senza scrupoli.
in tal veste è la figura professionale che ci vuole per garantire sonni tranquilli a una classe politica timorosa, per cattiva coscienza, del proprio destino.
con il miserabile materiale umano a disposizione, la banda degli attuali gerarchi deve ribaltare l'idea di pavolini (militarizzare la politica) nel suo contrario (politicizzare il militare), ma lo scenario evocato resta quello degli ultimi giorni di salò.
restiamo in attesa che venga richiamato in servizio anche il benemerito dottor de tormentis.



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