In quanto uomo, m'impegno ad affrontare il rischio dell'annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo
la loro luce essenziale (Frantz Fanon)

martedì 14 febbraio 2012

Auschwitz laboratorio del capitalismo contemporaneo


All'indomani della fine della seconda guerra mondiale la borghesia cercò di avvallare la tesi che fascismo e nazismo potessero essere spiegati come una patologia – una momentanea e collettiva follia – che aveva colpito il tessuto, fondamentalmente sano, della società capitalista.
Quest'ansia si era rivelata già negli ultimi mesi di guerra e non è quindi da escludere che sia veritiera la tesi di quegli storici che vedono, nella frettolosità della liquidazione di Mussolini, il disperato bisogno di Churchill di eliminare le tracce dei suoi precedenti rapporti col dittatore italiano, garante nella penisola del sistema che lui tutelava a Londra.
In questo tentativo di mettere tra parentesi l'esperienza delle dittature fasciste furono mobilitate tutte le energie intellettuali disponibili, e accanto al tradizionale pensiero idealista e cattolico, subito pronto a sposare la tesi per cui occorreva metterci una pietra sopra, si incominciò anche a dislocare una variante borghese di sinistra, con qualche lettura psicoanalitica del fenomeno fascista, o con il tentativo di contrapporre ai tenebrosi orrori della decrepita Europa, il luminoso fascino libertario della giovane America.
Erano comunque tempi in cui anche le miserie intellettuali, per la levatura morale di chi le propugnava, erano di alto livello, nulla avendo da spartire con il degradato livello dei tempi recenti, che ha permesso di chiudere il cerchio di quel dibattito del dopoguerra con la promulgazione dello stolido dogma della coincidenza di capitalismo e democrazia.
Ma, nel 1945, selezionati dal carcere fascista e dalla guerra partigiana, i dirigenti comunisti erano un'altra cosa, e l'egemonia del partito seppe reclutare una solida base di intellettuali che spazzò via la tesi semplicistica della follia, relegandola ad intima autodifesa delle intemperanze giovanili dell'eterna zona grigia del paese.
Che il fascismo sia, non già malattia, ma estremo tentativo di cura delle periodiche crisi del ciclo di rapina capitalista, lo abbiamo sotto gli occhi nel costatare come l'attuale crisi, sapientemente enfatizzata dall'apparato di propaganda del capitale, abbia ipso facto messo in mora, senza suscitar scandali, molte consolidate certezze sulla sovranità nazionale e su quella popolare.
Ai padroni, peraltro, la nozione del fascismo quale laboratorio estremo del capitalismo non è mai sfuggita e per loro la trasmissione di saperi cominciò da subito. Degli esiti delle ricerche di von Braun siamo informati, un po' meno sappiamo dell'utilizzo postumo degli esperimenti di Mengele o dell'entità delle radici nei campi di sterminio della ricerca Bayer.
E naturalmente non mancò di essere studiato il modo di produzione neo-schiavistico del lager, come opportuna alternativa, mutatis mutandis, al modello fordista, la cui razionalità è minata dalla concezione di un'identità tra produttore e consumatore, non sempre auspicabile.
C'è da supporre che la maggior parte di tali ricerche si sia svolta negli Stati Uniti, dove l'organizzazione sostanzialmente privata delle università lascia più spazio a ricerche riservate e dove agiscono gli think tanks di vari e cinici organismi di tutela del capitale (Bilderberg, Trilaterale, …).
È infatti da rappresentanti del mondo accademico nostrano che hanno solidi rapporti con tali inquietanti realtà, che giungono continue sollecitazioni al perseguimento di un modello che ha impressionanti analogie con quello messo in atto dal programma nazista di soluzione finale.

Allargamento della base produttiva virtuale


Nelle fotografie qui sopra assistiamo a un'apparente irrazionalità: vengono indirizzati ai campi di lavoro elementi evidentemente inutilizzabili, troppo vecchi o troppo giovani per essere produttivi.

Ma nel programma di deportazione pianificato dal tecnico Eichmann, con ragionieristica acribia, non c'è posto per soluzioni irrazionali.
Il costo trascurabile del trasporto rende infatti sensato che la necessaria selezione venga fatta all'arrivo, con un eventuale recupero di sia pur deboli capacità lavorative in relazione a eventuali picchi produttivi. È una soluzione che anticipa il tema della flessibilità.
Nella tradizionale società capitalista di tipo fordista, l'allargamento o il restringimento della base produttiva si adattava alle fasi economiche, restringendosi nei momenti di crisi (estensione dell'educazione obbligatoria, custodia carceraria o manicomiale, pensionamento anticipato) e allargandosi nelle fasi espansive (lavoro giovanile, regime di semilibertà, manicomio aperto, posticipo della pensione).
Adesso è evidente che a fronte di una estrema rarefazione delle possibilità di lavoro, la tendenza è quella di allargare la base produttiva, da un lato posticipando robustamente i pensionamenti, dall'altro disincentivando, con aumento dei costi e soppressione delle borse di studio, la permanenza all'università.
Le ricorrenti esternazioni (bamboccioni, sfigati, mammoni) di vari esponenti governativi dal background cosmopolita vuole rafforzare l'idea, francamente inattuale, che i giovani siano, nel loro insieme, forza di lavoro.

Anche in questo caso la soluzione è solo apparentemente irrazionale, la totale precarizzazione del lavoro ha infatti azzerato i costi sociali dell'operazione, svolgendo la funzione dei carri merci di Eichmann.

Selezione di massa

                  



Sul marciapiedi di arrivo del treno piombato si decideva il destino di molti deportati, chi era troppo piccolo, o troppo vecchio, o troppo malato, finiva direttamente nelle camere a gas.
Analogamente accade per chi, troppo anziano per essere appetibile sul mercato del lavoro, ma troppo giovane per accedere alla pensione, transita dalla cassa integrazione alla mobilità, per poi essere irrimediabilmente scartato. Metaforicamente gassato, accede alla morte sociale, che in prospettiva assumerà la forma di un'elemosina statale, pomposamente ribattezzata ammortizzatore sociale, un misero sussidio che in combinato disposto con il sistema pensionistico retributivo diverrà l'appannaggio permanente della sua vita residua. A questo stesso destino sono votati molti piccoli commercianti e artigiani, schiacciati dalla contrazione del mercato, la pressione fiscale e l'esasperazione della concorrenza.
Ma alla selezione di massa non scampano neppure i giovani, quando ormai sono sull'orlo di non essere più tali: per i nati negli anni '70, che avevano colto l'offerta di lavoro precario come un'opportunità, la giostra, dopo una girandola di mestieri temporanei e non qualificanti, si sta fermando, per lasciarli, quarantenni, nella terra di nessuno. 

Selezione periodica
Per chi superava la selezione di massa all'ingresso, cominciava lo sfruttamento intensivo. Malnutriti e maltrattati gli schiavi del lager andavo incontro a un precoce logoramento e si imponevano delle revisioni periodiche per eliminare gli individui non più produttivi. Per quanto simulassero di essere in buona salute e ostentassero commoventi prove di un fittizio vigore fisico, la maggior parte dei deportati non superava la selezione dopo circa nove mesi di permanenza al campo.

Ai nostri giorni l'istituto della selezione periodica è momentaneamente riservato ai lavoratori precari. Anche nel loro caso si assiste a penosi sacrifici (si va a lavorare anche malati) e patetiche finzioni (si simula entusiasmo per funzioni idiote), nel tentativo di ingannare la preannunciata scadenza. Ma c'è poco da fare, in un arco di tempo variabile tra i tre mesi e l'anno (e dunque mediamente inferiore al tempo di sopravvivenza nei lager) il licenziamento è inesorabile.
Resta una grave lacuna la mancata estensione di questa procedura all'insieme di tutto il lavoro dipendente, ma l'accorta compagine governativa è già al lavoro per ottenerla mediante l'abolizione dell'articolo 18.
Sgombrato il campo dallo spettro liberticida della giusta causa, il lavoratore che mostra una riduzione, per effetto dell'età, dell'efficienza produttiva, potrà essere rapidamente eliminato a fronte di un modestissimo pourboire.
Assisteremo allora ad un effetto paradossale, quegli stessi lavoratori, che a 60 anni sarebbero considerati troppo giovani per la pensione, a 50 verranno considerati vecchi per il loro lavoro, e mandati a spasso.
Nella compiuta realizzazione di questo disegno i vantaggi che si conseguono sono evidenti, da una parte la disponibilità di un ricambio continuo di mano d'opera, sempre fresca (e disponibile alla rinuncia ad ogni diritto, nella speranza di posticipare il licenziamento), dall'altro la delega alla fiscalità generale, e dunque in gran parte alle deboli risorse dei lavoratori stessi, del compito di garantire la sopravvivenza dell'enorme numero degli esclusi.
Per questa via – mantenendo, beninteso, il regime di bassi salari – si tenterà di reggere la concorrenza delle economie emergenti.
Naturalmente il calcolo è sbagliato, per una serie di ragioni, la principale delle quali risiede nel fatto che l'autoproliferazione del denaro ascrivibile alle attività finanziarie, ha determinato l'accumulo di enormi ricchezze virtuali che rischiano di diventare carta straccia. L'appello alla crescita è allora il disperato tentativo di produrre a posteriori il valore corrispondente di quelle teoriche fortune. Ma essendo queste già di proprietà di qualcuno, il risultato di tutto lo sforzo produttivo è in partenza, e per un lungo tempo, ipotecato. Nessuna prospettiva di benessere può venirne fuori per il lavoratore, per il quale è invece realistico prevedere un avvenire di fame (non metaforica).

Welfare, polarizzazione dei redditi, disciplina.

A completare l'analogia con il modo di produzione del lager ci sono inoltre altre linee di tendenza che tendono ad avvicinarsi asintoticamente al modello dato.
Nel campo di sterminio il welfare è a livello zero, non è assicurata, mediante un'adeguata alimentazione, la reintegrazione delle forze spese nel lavoro, l'alloggiamento è precario e ad alta densità, non c'è assistenza sanitaria.
Prima dell'esperimento nazista una situazione simile era stata osservata solo nell'Inghilterra Vittoriana, dove ai lavoratori non veniva corrisposto un salario compatibile con una alimentazione corretta, consegnandoli, così, all'acquavite e al laudano; gli operai abitavano quartieri fatiscenti, malsani e affollati, non accedevano alle cure mediche.
I nazisti ristabiliscono le condizioni di vita del debutto della rivoluzione industriale, esasperandole in senso schiavistico, in un contesto dove lo schiavo non è più un bene da ammortizzare.
Il costo del mantenimento di un'internato è inferiore a 1,30 DM, al giorno, e questa può essere considerata la sua unica retribuzione. Un ufficiale delle SS con ruolo dirigente nel campo è pagato circa 1500 DM al mese. Il rapporto con la retribuzione dell'internato è 1:350.
Nel campo non vige alcun diritto fondato dalla legge ordinaria, l'internato è completamente alla mercé degli aguzzini.
Nell'Italia odierna i livelli di welfare stanno rapidamente calando. Retribuzioni bloccate da troppo tempo hanno ridotto il potere di acquisto dei salariati, calano i consumi alimentari, e alle mense dei poveri non ci sono più solo i senza reddito.
Malgrado molte case rimangano sfitte (30.000 nella sola Milano), i canoni non si abbassano e i lavoratori fanno fatica a pagare. Gli sfratti sono circa 60.000 all'anno. Unica alternativa i quartieri popolari, degradati, socialmente malsani e affollati, dove peraltro le case non sono gratis. Cresce il numero dei senza tetto.
Nelle fabbriche il divario tra la retribuzione degli operai e quella dei loro dirigenti cresce esponenzialmente, nel caso della Fiat, il rapporto tra la paga di Marchionne e quella di un operaio ha rapporto 1:1350, ben superiore a quello di Auschwitz.
Ansioso di compiacere l'AD della Fiat e i vertici di Confindustria, il ministro Sacconi ha messo a punto, prima di uscir di scena, un dispositivo che autorizza le aziende a derogare dalle leggi nazionali previste specificatamente per il loro settore. Grazie a questo mostro giuridico, che il nuovo governo non si è affannato ad abrogare, e alle iniziative unilaterali e tracotanti di Marchionne, una nuova concezione di disciplina entra in fabbrica. I sindacati non corrivi vengono espulsi.
Ecco quindi delineato il quadro di corrispondenza tra l'esperimento condotto nei campi di sterminio e il modello perseguito dall'attuale capitalismo. I singoli momenti possono essere approfonditi, e nuove analogie possono essere trovate.
Ovviamente la realizzazione attuale non si alimenta del sadismo derivato da un odio razziale fortemente radicato, anche se non mancano tracce di affermazioni simboliche di una rivalsa di classe.
Nell'adottare il modello Auschwitz, il capitale non sottoscrive una cambiale di adesione al nazismo. Il capitale si concede al fascismo solo in ultima istanza e finché può preferisce attenersi alle forme esteriori della democrazia.
La scelta dipende dal fatto che il modello è perfettamente adeguato a una situazione in cui i vertici della comunità finanziaria governano in presa diretta, senza le tradizionali mediazioni di partiti e sindacati, adottando esasperati principi dell'economia aziendale, in luogo di quelli più temperati dell'economia politica.
Inversamente, il fatto che il modo di produzione di Auschwitz possa essere interrogato fecondamente dall'odierno establishment capitalista, dimostra a posteriori che il nazismo è stata una variante con cui il capitalismo si è difeso dagli effetti della sua stessa crisi. Non vi è stata, dunque, nessuna follia, né vi è identità tra capitalismo e democrazia.
In conclusione vogliamo segnalare un'ultima e inquietante analogia.
Il modo di produzione dei lager andò ostinatamente avanti fino all'arrivo degli Alleati. La speranza di un'impossibile arma segreta scandì i ritmi crescenti di un massacro ormai inutile, in uno scenario in cui non esisteva più alcuna realistica via d'uscita.
La situazione di oggi è speculare, il capitale non ha un piano d'uscita dalla crisi, e i ritmi crescenti del massacro sociale servono solo a campare alla giornata, nella speranza che qualcosa accada. Ma non c'è nessuna arma segreta e il sistema si avvia ad una logica di ripetuti e infiniti giri di vite, che nulla possono risolvere, ma che sono destinati a portare a un punto di rottura la coesione sociale.
Complice l'opportunismo della sinistra moderata, di questa prospettiva potrà avvantaggiarsi solo la destra e il fascismo potrebbe ridiventare un'opzione razionale del capitalismo.


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